Beppe Grillo cita Goffredo Parise: webeti e ideologhi si scatenano

Beppe Grillo invia gli auguri dal suo blog e cita, interamente, un articolo di Goffredo Parise. Un invito alla riflessione, forse troppo audace per il web.

di Davide Amerio.

Grillo ha scritto un post sul suo blog (in realtà poche righe iniziali) per presentare un articolo di Goffredo Parise, scritto nel giugno del 1974, riportato fedelmente nel post. Il titolo dell’articolo di Parise è “Il rimedio è la povertà“. Un titolo forte e provocatorio, come si evince dalla sua lettura. Il fatto che con esso Grillo abbia voluto offrire un momento di riflessione e un augurio per Natale ha scatenato le migliori menti sopraffine del web.

Nel ricco vivaio degli intellettuali buttatisi a capofitto nel denunciare l’ipocrisia di Grillo che parla di povertà, ma è ricco, e, in Italia, essere “ricchi” è comunque sinonimo di “male”, la fantasia non manca: né da destra, né da sinistra. Ma leggendo (anzi ri-leggendo) il testo di Parise, chissà perché vien subito alla mente quella statistica che quota al 40% il numero degli Italiani incapaci di comprendere un discorso (o un testo) complesso.

A nostro carico la “colpa” di aver già citato (QUI) il testo di Parise in un nostro post, pubblicato in tempi non sospetti.

Senza voler assumere le difese del buon Beppe, che non ne abbisogna, è il pensiero di Parise che viene volutamente, o per dispetto o per malafede, travisato. Per quel poco che ho studiato mi sovviene che un testo con una certa “anzianità”, andrebbe letto contestualizzandolo nel periodo storico in cui è avvenuta la stesura. Ciò non toglie esso abbia una interessante attinenza con l’attualità e possa regalare qualche utile riflessione.

La lettura da compiersi è quindi “critica”, cogliendo quelle parti del messaggio che posseggono ancora un valore nel “nostro” momento storico in cui viviamo. Non posso quindi che raccomandare la lettura diretta dell’articolo, affinché ciascuno ne tragga le proprie conclusioni.
Mi permetto però di evidenziare come, a mio parere, la “povertà” di cui parla Parise, non è un valore assoluto da perseguire, come invece è stato interpretato. Egli contrappone l’attenzione del “povero” e il suo agire, rispetto al consumatore immerso nella logica del consumismo.

Chiaro il suo pensiero in questo passaggio:

Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.

Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.

Non siamo di fronte all’elogio della povertà come obiettivo auspicabile per tutti piuttosto, attualizzando il pensiero dell’autore, il consiglio a ritrovare il valore delle cose, il senso della misura nel possesso e la reale utilità degli oggetti. È la denuncia di un sistema consumistico che spinge all’acquisto bulimico; perché comprare significa produrre, senza curarsi delle conseguenze; come vuole la legge liberista del mercato.

Un pensiero controcorrente che attira a sé le ire degli ideologi di destra e di sinistra, come afferma lo stesso Parise:

Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra. […]

La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.

A voi quindi l’attenta lettura dell’articolo nella sua completezza e con sereno spirito critico per raccogliere il messaggio semplice e umano dell’autore. Buone Feste a tutti.

 (D.A. 28.12.16)