Algeria e Cabilia popoli mediterranei dimenticati e minacciati

Cabilia (Algeria) una regione che si affaccia sul mediterraneo sconosciuta ai più in cui un popolo di 4 milioni di persone difende la sua storia e la sua cultura dai tempi dei Romani.

di Daniela Giuffrida.

Minacce di morte contro i presidenti del MAK e del GPK sono comparse, lo scorso 9 settembre, sui muri della città di Akbou (Timurt) in Cabilia. La scelta della città non sarebbe stata casuale -riferiscono le fonti cabile – proprio ad Akbou si sarebbe tenuta, due giorni dopo, una importante manifestazione organizzata dagli indipendentisti cabili: l ennesima “marcia” per  rivendicare l’indipendenza del popolo cabilo dal Governo di Algeri.

Anche questa volta sembrerebbe che le minacce siano arrivate dalla gendarmeria algerina di Yaala Guenzat-Ay, nel dipartimento di Setif. Ma non sarebbe accaduto solo questo, denunciano gli indipendentisti, sembra che nella notte fra il 13 ed il 14 scorsi, due cacciatori cabili sarebbero stati uccisi dalla gendarmeria algerina, senza che venisse chiesto loro nemmeno di identificarsi.

minacce kabiliaQuanto accaduto ai rappresentanti del MAK (movimento per l’autodeterminazione della Cabilia) e del GPK (Governo Provvisorio della Cabilia) ha trovato il riscontro e la solidarietà di diverse forze indipendentiste che si muovono lungo le coste del Mediterraneo e da più parti si sono levati segni di solidarietà.

Il comunicato rilanciato da queste forze identitarie e nazionaliste, parla chiaro: “Non abbassiamo le braccia. Per reagire alle minacce vergognose di cui sono i bersagli presidente del MAK, Bouazizi ha Chebib e il Presidente del CdG, Ferhat M.Henni, offriamo il nostro sostegno incondizionato ai due movimenti politici e MAK e GPK , nonché per le due persone nominate. Questo tipo di minaccia è del tutto inaccettabile perché è una violazione della democrazia, la libertà di pensiero e di coscienza politica, che dovrebbe in alcun modo essere tollerata dai democratici di tutti i paesi. MAK e GPK offrono un responsabile e credibile alternativa all’oppressione dello stato algérino e rappresentano le speranze e le legittime aspirazioni di un gran numero di cittadini. È essenziale che siano in grado di proseguire questa iniziativa in assenza di paura, di minaccia e di intimidazione.”

“Non saremo ridotti al silenzio da queste intimidazioni totalitarie – scrivono ancora gli indipendentisti – e continueremo a denunciare e rifiutare uno status quo che minaccia di distruggere la lingua Kabyle, le radici della cultura antica e il futuro della Cabilia e bambini.”

Le firme sono di illustri rappresentanti dei movimenti nazionalisti, da Mairead Tagg, Nazionalista Scozzese (SNP) ad  Aksel Akvayli, Nazionalista Cabilia (MAK), da Patrick Bazzal-Schmitt, Nazionalista corso (PNC) a Maria Crannante, Nazionalista napoletano (Idle No More Napoli) e poi ancora: Michael Tagg Scottish Nationalist (SNP); Gian Marco Ambra, Nazionalista napoletano (Idle No More Napoli); Yannick Schmitt, Idle No More Cabilia (in rappresentanza Francia);  Lamara Agawa Idle No More Cabilia (Presidente).

La Gendarmeria algerina si sarebbe macchiata, negli anni, di tremendi crimini nei confronti della popolazione cabila e dei suoi “resistenti” e ciò al solo scopo di spingere gli attivisti monarchici ad abbandonare il loro impegno per la liberazione della regione algerina.

Ma cos’è la Càbilia?

Posta a nord dell’Algeria, ad un centinaio di chilometri dalla capitale Algeri, la Cabilia  si estende per circa 60.000 km quadrati dalle coste del Mediterraneo verso l’interno, inerpicandosi oltre i 2000 metri, sulla catena montuosa del Djurdjura.

cabiliaLa sua popolazione, costituita prevalentemente da Berberi (Leqbayel), parla il Càbilo, o Taqbaylit, un dialetto usato da circa 4 milioni di persone ed è legatissima alla propria lingua e alla propria cultura, patrimonio che da sempre ha cercato di preservare. Per questo gli abitanti originali, i Masiri, nel corso della loro storia sono stati costretti a trovare rifugio sulle montagne.

I Càbili, fin dalle loro origini, hanno sviluppato una cultura contadina “comunitarista” in cui la terra è bene comune e la comunità è un’entità sovrana e indipendente da qualsiasi potere esterno; quindi, quando le originarie Quinque Gentes, ovvero le “cinque tribù” (da ciò il termine Cabilia ovvero “le tribù”), dovettero difendersi  dallo strapotere di Roma, si rifugiarono  sulle montagne e costruirono i loro villaggi sulle creste dei monti che dominano la costa mediterranea,  da qui opposero una fiera resistenza alle legioni romane.

In tempi più recenti, fu il colonialismo francese che rivolse l’attenzione alla Cabilia e ad usare un metodo quasi scientifico per sconfiggere le sacche di resistenza che sulle montagne si annidavano. I francesi cercarono di smontare il loro sistema comunitario e autonomo,  imponendo la privatizzazione delle terre e cercando di limitare la loro autonomia economica e politica.

Da cosa, nasce cosa.

Se un popolo fiero vede minacciata la propria libertà ed indipendenza “psicologica” prima ancora che politica, finisce con lo sviluppare delle difese personali che a lungo andare modificano e forgiano il suo carattere  ed è questo che ha creato, nelle zone berberofone del Nordafrica, dal Tassili dei Tuareg all’alto Atlante in Marocco, forti e storiche sacche di ribellione.

Nel 1872 una terribile insurrezione dei Càbili sfociò in un vero e proprio genocidio da parte dei francesi, la popolazione locale fu massacrata e l’esercito invasore ebbe la via libera in un territorio che mai alcun altro impero era riuscito a violare.

Quando le truppe francesi lasciarono l’Algeria, dopo aver decimato la resistenza interna, quella dei “maquisards”, i leader di matrice Nazionalista Araba, detti “gruppo di Oujda”, entrarono alla testa di un potente esercito formatosi nei campi profughi nei paesi confinanti. Questi presero il potere e mandarono in carcere o in esilio tutti i capi della guerra di liberazione nazionale.

Arriviamo così alla fine degli anni 70. 

Il malumore che segue al ’68 europeo non arriva in Algeria, ma il malessere dilaga ugualmente anche in quel paese. La povertà raggiunge altissimi livelli e mentre la corruzione si estende a tutti i reparti dello stato, i servizi di sicurezza instaurano un clima di terrore in tutto il paese.

Il Centro Universitario della Città di Tizi Ouzou creato nel 1977 diventa un covo di attivisti ed è in questa università che, nel 1980, scoppia la prima protesta popolare contro il regime del Fronte di Liberazione Nazionale, colpevole di aver interdetto una conferenza che avrebbe dovuto tenere lo scrittore e antropologo Mouloud Mammeri, studioso molto legato alla lingua e cultura masira.

KabiliaGli studenti occuparono l’università e vennero violentemente attaccati dalla polizia il 20 aprile, che da allora è ricordato tutti gli anni come la Primavera berbera, in cui nacque, nel sangue e nella repressione, un movimento di massa per il riconoscimento della lingua e della cultura berbere.

Il 5 ottobre del 1988 una insurrezione generale, porta i militari a sparare sulla folla: circa 800 i morti che restano sul suolo algerino, ma questo evento trasforma l’Algeria.

“Da una parte i movimenti per le libertà democratiche e i partiti dell’opposizione escono all’aperto e si tenta una esperienza democratica straordinaria che dura circa due anni – racconta Karim Metref, scrittore e giornalista càbilo in una inchiesta giornalistica sui fenomeni di radicalizzazione nel Mediterraneo – Ma dall’altra parte, all’ombra del regime, era cresciuto un forte movimento integralista musulmano che si esprimeva soprattutto attraverso il FIS, che voleva instaurare una teocrazia. Lo scontro è veloce e folgorante: in pochi anni l’Algeria sprofonda nella guerra civile. Anzi in una guerra contro i civili, come la chiamano in molti. Presi nella morsa dei militari algerini abituati a regnare senza condivisione e quella delle orde integraliste assetate di potere assoluto, il popolo paga un pesantissimo tributo alla follia omicida che s’impadronisce delle due parti.”

Nel 1994, in piena guerriglia civile, il Movimento Culturale Berbero nato dal movimento del 1980, lancia e promuove il boicottaggio della scuola algerina, boicottaggio che dura un anno intero, azione assolutamente ignorata dal resto del mondo ma che raggiunge il suo scopo, ovvero l’insegnamento del berbero nella scuola, a partire dal 1995.

Il 25 giugno 1998, viene ucciso il popolare cantante e militante cabilo Matoub Lounes. Le autorità parlano di un crimine compiuto dagli integralisti, ma i ragazzi della Cabilia non credono ad una parola, escono per le strade e gridano “pouvoir assassin” e sfogano la loro rabbia sui simboli dello Stato.

Nella primavera del 2001, a Beni Douala, un giovane di nome Guermah Massinissa viene mortalmente ferito da un gendarme dentro una caserma. La morte del giovane però, non è soltanto una tragedia in più, bensì una tragedia di troppo nella drammatica realtà vissuta dall’Algeria, che in 11 anni aveva fatto oltre trecentomila vittime. Il funerale del ragazzo si trasforma in una manifestazione che coinvolgerà tutta la Cabilia e buona parte dell’Algeria. Questo periodo di lutti, iniziatosi anch’esso nel mese di aprile, viene oggi denominata “Primavera nera”, da non confondersi con la “Primavera araba” che è tutt’altra cosa.

“I gendarmi, abituati all’impunità – scrive ancora Karim Metref – sparano sulla folla pallottole vere. I giovani gridano che sono già morti e quindi che la morte non fa loro paura ed affrontano le pallottole a torso nudo, armati solo di rabbia e determinazione, decisi a non accettare più “la hogra”, termine dialettale arabo che raggruppa in sé: disprezzo, umiliazione, prevaricazione e prepotenza. Lo slogan più significativo dello stato d’animo di un popolo tenuto per dieci anni sotto la minaccia di un’arma è: “Non potete ucciderci, siamo già morti!”

L’ incendio scatenato dalla morte del giovane Massinissa dura circa tre anni. In breve tutta la popolazione della Cabilia scende per le strade. In ogni villaggio, ogni comune, piccolo o grande che sia, i cittadini si riuniscono e lanciano sassi e slogan ostili contro i gendarmi ed il regime che essi rappresentano. Dopo settimane di scontri in cui i gendarmi sparano sulla folla per uccidere, dopo che un centinaio di morti e migliaia di feriti gravi e di mutilati, restano sulle strade cabile, la popolazione si organizza e crea un movimento politico autonomo dalla politica tradizionale, composto da diversi movimenti che si concentrano per la maggior parte di loro in un coordinamento provinciale e poi a livello nazionale in un coordinamento interprovinciale.

Questo movimento (MAK) senza leadership e senza struttura orizzontale, composto da gente normale – insegnanti, commercianti, piccoli agricoltori, artigiani, operai, ecc… – animerà per circa tre anni la scena politica algerina.

Dalle consultazioni popolari nasce un documento di quindici rivendicazioni: “Plateforme d’El-Kseur”. La piattaforma non è un programma rivoluzionario di rifondazione dello Stato Algerino, è il frutto di un movimento spontaneo, tumultuoso e disordinato. Rivendicazioni importantissime che vanno dal risarcimento delle vittime e delle loro famiglie al giudizio dei militari colpevoli, dallo ristabilimento dello stato sociale, politiche di sostegno ai giovani, risanamento della politica degli alloggi e della sanità, reddito minimo garantito

Queste richieste non vennero comunque accolte favorevolmente nel paese, sottoposto per troppo tempo al ruolo dei generali, ma nemmeno dalla classe politica convenzionale, né dalla stampa e tanto meno dagli intellettuali: a livello internazionale nessuno ne sentì parlare.

“L’Algeria è riserva di caccia della stampa francese  – scrive ancora Karim Metref – e questa fa assolutamente finta di non vedere niente. Circa centomila manifestanti si radunano nel cuore di Parigi, ben due volte, ma nessuna tv ci spende un mezzo minuto, i giornali respingono la notizia in fondo, in mezzo agli “chiens écrasés”, come si chiamano in francese gli argomenti di cronaca.di minore interesse.”

Il petrolio algerino

Le multinazionali dell’esagono volevano la loro parte di petrolio algerino ed il governo algerino, sicuro del sostegno internazionale, gioca la carta dell’isolamento. La Cabilia, nei tre anni che seguono, non riesce ad esportare la sua organizzazione e a nulla servono i violenti attacchi contro i simboli del potere, il movimento si sgretola e il governo riesce ad isolare gli elementi più opportunisti del movimento e gli infiltrati e li inserisce in strutture governative, convinto di avere sconfitto così le forze più resistenti. Ma si sbaglia perché l’anima del Movimento indipendentista era ritornato sulle montagne per riorganizzarsi.

Cosa rimane di questa lotta?

Oggi, i gendarmi che erano stati cacciati sono tornati in un paese più che militarizzato. Posti di blocco e accampamenti militari, sono collocati in ogni angolo del paese, per via di una presunta presenza di gruppi di Alqaeda. Ogni estate migliaia di ettari di alberi vanno in fumo, la gente reagisce poco, mentre tanti giovani sono costretti ad arrangiarsi, trafficando droga o compiendo furti e rapine.

In genere regna la mentalità detta in Algeria del “Tag ala men tag”- scrive ancora Metref – un equivalente algerino del “si salvi chi può”. Le parole d’ordine sono: soldi (meglio se facili), business, bei vestiti, belle macchine e telefonini di ultima generazione.

In tanti villaggi, che fino a qualche anno fa erano stati risparmiati dal fenomeno dell’integralismo islamico, negli ultimi anni sono apparsi giovani barbuti e ragazze con il velo: piccoli gruppuscoli, ma comunque segnali inquietanti.

Lo scorso settembre sulle montagne della Cabilia vi è stato il rapimento e l’uccisione di un escursionista francese, Hervé Gourdel. Questi, individuato dai  jihadisti tramite la sua pagina Facebook, venne decapitato dagli estremisti di Jund-al-Khilafa, movimento affiliato all’Isis.

Ma questa è un’altra storia.

(D.G. 17.09.15)

Fonti: Karim Metref http://ita.babelmed.net/ cultura-e-societa/98-algeria/ 3462-algeria-cabilia-cultura- di-montagna-cultura-di- resistenza.html